Quando aspettavo il mio primo figlio, come usa tra primipare, ho fatto un corso preparto. Era tenuto da Bodil, un’osterica svedese che ci mostrava surreali filmati anni ’70 sul travaglio di giunoniche e stoiche gestanti scandinave, ci insegnava a parlare con il nostro pavimento pelvico e ci intimava, rassicurante e spiccia, di rilassarci e stare serene ché tanto il parto è un fatto normale, fisiologico e, soprattutto, con le enormi pance che ci ritrovavamo, ineluttabile.
Dopo
Bodil conobbi Fabiana che mi sgridò perché non mi dilatavo («Ho capito, io: tu questo bambino
non vuoi fare uscire!») e
poi mi accarezzò la testa, come una mamma. Incontrai Letizia che mi insegnò ad
allattare, Giovanna che sconfisse le mie ragadi, Simona che mi mostrò come
massaggiare mio figlio neonato, poi Barbara, Claudia e Monica e altre ancora.
Tre gravidanze, tre parti, tre allattamenti. Di ostetriche ne ho conosciute e
frequentate parecchie.
Ho
imparato, osservandole e ascoltandole, che fanno un mestiere fondamentale e
difficilissimo, fatto di adrenalina e tenerezza, di sapere scientifico e
pratico, di empatia e severità, di improvvisazione e sangue freddo, di pazienza
e decisionismo. Ho scorto un filo rosso, che le accomuna tutte o quasi, perché
il contatto quotidiano con la magia della nascita, e con i buchi neri e le
meraviglie che la circondano, insegna a contenere, ad accogliere, a rassicurare
e a farsi madri, ogni volta che nasce un bambino e che nasce una mamma.
Per
essere ostetrica bisogna essere fatta di una pasta speciale, dono di poche.
«Piacere, sono Esther Madudu, la
famosa ostetrica ugandese»,
mi ha detto, inghiottendomi in un abbraccio morbido, dentro cui avrei voluto
abitare. Esther è un simbolo, candidata da AMREF al Nobel per la Pace del 2015,
in rappresentanza di tutte le ostetriche dell’Africa Subsahariana, costrette a
lavorare in condizioni difficilissime, spesso senza elettricità, sole e con turni
massacranti.
L’ho
incontrata a Kampala, la capitale dell’Uganda, durante una cena formale e
intimidente. Energica, forte, sorridente. Una di quelle donne al cui fianco non
hai più paura di niente. Una di quelle donne che ti incantano, nella loro
maestosa semplicità.
In
Uganda, di Esther, ne ho vista più d’una. Ne ho incontrate mentre facevano
prelievi per il test dell’HIV sulle gestanti, mentre insegnavano la prevenzione
e contraccezione, mentre accudivano puerpere bambine, lasciate sole con i loro
neonati. Candide, preparate, dedite, consapevoli, leggere e coraggiose. Come
Bodil, Fabiana, Giovanna, Simona e le altre, incrociate quassù.
Come loro empatiche, come loro magnetiche, come
loro materne. Solo più consapevoli del loro ruolo da giganti, solo costrette a
lottare quotidianamente contro difficoltà che nessuna donna e nessuna ostetrica
dovrebbe affrontare, solo, più di Bodil e Fabiana, obbligate a tirare fuori un
eroismo che a nessuno dovrebbe essere chiesto.Elasti per AMREF Italia
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