Uno spazio narrativo per raccontare i punti di vista, le suggestioni, le riflessioni sul continente africano, visto da dentro, dalla voce di chi è stato in Africa, ma anche da fuori, dall’Italia e dalla tanta “africanità” che in essa vive. Un'Africa che vive a sud del Sahara, ma che incontriamo anche sulle nostre strade, nelle nostre città. Un'Africa che, consapevoli o meno, ogni giorno incrocia le nostre vite.

giovedì 9 maggio 2013

Bodil, Fabiana, Esther e le altre


Quando aspettavo il mio primo figlio, come usa tra primipare, ho fatto un corso preparto. Era tenuto da Bodil, un’osterica svedese che ci mostrava surreali filmati anni ’70 sul travaglio di giunoniche e stoiche gestanti scandinave, ci insegnava a parlare con il nostro pavimento pelvico e ci intimava, rassicurante e spiccia, di rilassarci e stare serene ché tanto il parto è un fatto normale, fisiologico e, soprattutto, con le enormi pance che ci ritrovavamo, ineluttabile.
Dopo Bodil conobbi Fabiana che mi sgridò perché non mi dilatavo («Ho capito, io: tu questo bambino non vuoi fare uscire!») e poi mi accarezzò la testa, come una mamma. Incontrai Letizia che mi insegnò ad allattare, Giovanna che sconfisse le mie ragadi, Simona che mi mostrò come massaggiare mio figlio neonato, poi Barbara, Claudia e Monica e altre ancora. Tre gravidanze, tre parti, tre allattamenti. Di ostetriche ne ho conosciute e frequentate parecchie.
Ho imparato, osservandole e ascoltandole, che fanno un mestiere fondamentale e difficilissimo, fatto di adrenalina e tenerezza, di sapere scientifico e pratico, di empatia e severità, di improvvisazione e sangue freddo, di pazienza e decisionismo. Ho scorto un filo rosso, che le accomuna tutte o quasi, perché il contatto quotidiano con la magia della nascita, e con i buchi neri e le meraviglie che la circondano, insegna a contenere, ad accogliere, a rassicurare e a farsi madri, ogni volta che nasce un bambino e che nasce una mamma. 
Per essere ostetrica bisogna essere fatta di una pasta speciale, dono di poche.
«Piacere, sono Esther Madudu, la famosa ostetrica ugandese», mi ha detto, inghiottendomi in un abbraccio morbido, dentro cui avrei voluto abitare. Esther è un simbolo, candidata da AMREF al Nobel per la Pace del 2015, in rappresentanza di tutte le ostetriche dell’Africa Subsahariana, costrette a lavorare in condizioni difficilissime, spesso senza elettricità, sole e con turni massacranti.
L’ho incontrata a Kampala, la capitale dell’Uganda, durante una cena formale e intimidente. Energica, forte, sorridente. Una di quelle donne al cui fianco non hai più paura di niente. Una di quelle donne che ti incantano, nella loro maestosa semplicità.
In Uganda, di Esther, ne ho vista più d’una. Ne ho incontrate mentre facevano prelievi per il test dell’HIV sulle gestanti, mentre insegnavano la prevenzione e contraccezione, mentre accudivano puerpere bambine, lasciate sole con i loro neonati. Candide, preparate, dedite, consapevoli, leggere e coraggiose. Come Bodil, Fabiana, Giovanna, Simona e le altre, incrociate quassù.
Come loro empatiche, come loro magnetiche, come loro materne. Solo più consapevoli del loro ruolo da giganti, solo costrette a lottare quotidianamente contro difficoltà che nessuna donna e nessuna ostetrica dovrebbe affrontare, solo, più di Bodil e Fabiana, obbligate a tirare fuori un eroismo che a nessuno dovrebbe essere chiesto.

Elasti per AMREF Italia

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