Uno spazio narrativo per raccontare i punti di vista, le suggestioni, le riflessioni sul continente africano, visto da dentro, dalla voce di chi è stato in Africa, ma anche da fuori, dall’Italia e dalla tanta “africanità” che in essa vive. Un'Africa che vive a sud del Sahara, ma che incontriamo anche sulle nostre strade, nelle nostre città. Un'Africa che, consapevoli o meno, ogni giorno incrocia le nostre vite.

lunedì 16 settembre 2013

Teranga e gratitudine

Il diario di viaggio di Paola Ferrara, con lo scrittore Paolo Nori in Senegal, fa tappa a Ounaré, un piccolo villaggio dove vivono donne come Aminata e sua figlia Aissata... 
(Le "puntate" precedenti nei post del 4 e del 10 settembre).

Alle 10 siamo a Ounaré, piccolo villaggio della regione di Matam dove vivono Aminata Sy e Guisé che ci aprono la casa e le braccia. Lei, Aminata, è felice di riceverci, lo dice più volte e scaccia i bambini che numerosi si sono accalcati alla porta, inseguendoci lungo la strada. Lasciamo le scarpe sulla soglia, ci sediamo sui tappeti che coprono terra, che è il pavimento della casa, nella stanza c’è un vecchio apparecchio televisivo spento e dei materassi impilati su un lato. Deve essere la camera dove dormono. Siamo dai genitori di Aissata, una ragazza di 19 anni che a febbraio scorso è stata operata di fistola vaginale. Paolo mi chiede cosa sia. Glielo dico, e gli dico anche che qui in Africa le donne con fistola sono soggette a stigma e vengono isolate, oppure cacciate di casa.  Essere incontinenti e non più fertili a 20 anni non è compreso, pensano siano infette, malate, maledette.

Aissata aveva partorito una bimba a 16 anni, travaglio lungo, difficile. Aveva poi nascosto ai genitori la sua sofferenza, il marito l’aveva abbandonata e lei viveva in silenzio con la sua bambina. Da 3 anni. 

Facciamo delle domande – come hanno vissuto loro la malattia della figlia, cosa pensavano di fare, se la loro esperienza servirà ad altre donne. Risponde soprattutto lui. Non si erano accorti di nulla, Aissata non parlava quasi più, vedevano solo la sua infelicità. Poi, un giorno, Aminata riceve una telefonata dall’ospedale di Ourossogui, prende un autobus e va in città. In ospedale c’è la figlia con un’amica e sta per subire un intervento chirurgico. Torna a casa, ad accudire la famiglia. Dopo tre giorni rientra pure la ragazza.

Aissata
E’ che un giorno Aissata aveva partecipato ad un incontro, parlava uno di AMREF, un’organizzazione che si occupa della salute delle persone, le avevano detto. Bachir era molto giovane, spiegava bene come prendersi cura della propria igiene, come usare l’acqua e anche cose più intime. Aveva parlato delle gravidanze, spiegando come fosse importante rivolgersi ai centri di salute e alle ostetriche o altri operatori formati, per avere assistenza durante il parto e anche prima.

Parlare con Bachir dopo l’incontro era stato difficile, per l’imbarazzo ma Aissata era riuscita a capire e aveva chiesto aiuto. Fatti alcuni esami, arriva il giorno dell’intervento. E Aissata recupera la sua vita, ricomincia a fare piani per il futuro. Oggi Bachir è per lei una persona cara e l’incontro con AMREF per questa famiglia è stata una palingenesi.

Aminata ci guarda e si vede che è felice.  Le chiediamo se, avendo capito cosa è la fistola, e come è possibile curarla, ma soprattutto prevenirla, se insomma ne parla, se ha raccontato tutto alle altre donne, se la sua esperienza aiuterà altre ragazze, mamme a non soffrire più per questo. Dice che naturalmente si, che ora nel villaggio sono tutti informati e che quando ci sono dei casi simili chiamano Bachir di AMREF.

Aminata con una figlia e la nipote

Esce dalla stanza e ritorna con un piatto di latta, l’odore di cipolle e uova invade subito l’ambiente.  Sono solo le 11 ma come dire di no? E dice che se avesse saputo prima del nostro arrivo avrebbe preparato una capra….


Paola Ferrara, Direttore della Comunicazione, AMREF Italia

martedì 10 settembre 2013

Arrivo

Seconda puntata del diario di viaggio di Paola Ferrara, Direttore della Comunicazione di AMREF Italia, con Paolo Nori in Senegal, per raccontare l'Africa delle donne da un punto di vista maschile (la prima parte nel post del 4 settembre).



Ero più curiosa di osservare i primi passi di Paolo in Africa che di trovarmi io per la prima volta in questo paese. L’aeroporto alle 3 del mattino è già (o ancora?) vivace, gente che cammina, ti chiede se hai un hotel e un mezzo di trasporto, macchine in sosta e in movimento dovunque, carrelli con enormi valigie ferme sui marciapiedi. Su un cartello il mio nome mi fa riconoscere Mamadou, nostro nuovo compagno di viaggio. Senegalese, da un anno alle dipendenze di AMREF, Mamadou è premuroso e attento. Data l’ora, pochi convenevoli e subito in albergo per qualche ora di riposo prima del lungo viaggio verso nord. E Paolo? Troppa stanchezza per esprimere prime reazioni, se ne parla domani.

Col sole
Eccola Dakar in pieno giorno: affollata, caotica, calda. Usciamo subito dalla città: Mamadou ci parla delle nuove infrastrutture in costruzione – piccoli tratti di autostrada, davvero pochi chilometri – e delle arachidi, principale coltura nazionale. Si corre verso Kanel, a più di 500 chilometri, quasi tutti su strade sconnesse. Alle 2 del pomeriggio arriviamo a Mbacke, nei pressi di Touba, la città santa del mouridismo; lì ci aspetta Bara, un medico di AMREF, altro compagno di viaggio. Il team è al completo ma prima di riprendere la strada,  Bara ci ospita in casa per un pranzo con la famiglia. Prime avvisaglie della “teranga” senegalese e quando esprimo la mia sorpresa e l’emozione per una simile accoglienza ridendo dicono: “Non conoscevi l’ospitalità di questo paese? E’ nota in Africa”. Penso a quando si diceva la stessa cosa dell’Italia, e in particolare del sud, da dove vengo.  Il viaggio riprende, per concludersi a fine giornata a Ourossogui, nella regione di Matam. Buona prima notte quaggiù.



Paola Ferrara, Direttore della Comunicazione, AMREF Italia

mercoledì 4 settembre 2013

Voci per l’Africa. Il sequel, al maschile

L’incontro sul treno con Paolo è l’inizio del nostro viaggio. Siamo diretti in Senegal dove AMREF ci aspetta con le sue storie, i suoi progetti, la sua gente. Il trenino per l’aeroporto è pieno, vanno quasi tutti in vacanza, è il 10 agosto, normale. Noi invece arriveremo a Dakar nella notte (le tre ore di ritardo faranno mattina) per ripartire dopo poche ore per il nord del paese, verso Kanel, al confine con la Mauritania. Paolo Nori ha accettato di venire in Africa per vedere, sentire, vivere qualche giorno con AMREF e riportare al suo e nostro pubblico dei pensieri. Scriverà un racconto che sarà letto a Radio Tre a dicembre prossimo (data e orario più avanti) a sostegno della campagna Stand Up for African Mothers.
Seguite il nostro viaggio.

P. S. Anche Claudio Rossi Marcelli è partito per il Kenya con AMREF. È lì in questi giorni. E anche lui a dicembre ci racconterà su Radio3 questo viaggio, il suo primo in Africa.


Paola Ferrara, Direttore della Comunicazione, AMREF Italia

lunedì 2 settembre 2013

Il Senegal di Paolo Nori

Dopo il punto di vista delle donne, quello degli uomini: è iniziata con lo scrittore Paolo Nori la seconda fase del progetto "Voci per l'Africa", un viaggio con AMREF tra i villaggi e le comunità a sud del Sahara, per incontrare uomini e donne che in quelle terre vivono e lavorano, per conoscere la loro quotidianità, le paure e le speranze, le tradizioni e i cambiamenti. 
Con AMREF, Nori è stato in Senegal e presto ne scriverà un racconto breve, che sarà letto su Radio3 in inverno. Ma intanto ci ha regalato una suggestione della "sua Africa" attraverso un lungo post suo blog www.paolonori.it



La mia Africa
venerdì 23 agosto 2013

A metà agosto son stato in Senegal per una Organizzazione Non Governativa che si chiama Amref e che mi ha chiesto di far questo viaggio per scrivere poi un testo di una ventina di minuti da dire poi per radio in novembre; prima di partire, la prima cosa che mi hanno chiesto, mi hanno chiesto a favore di chi doveva essere versato il premio dell’assicurazione nel caso che io non fossi tornato, dall’Africa, e io ho detto a favore di mia figlia solo che poi sono tornato non c’è stato nessun premio dell’assicurazione, per il momento, almeno, che la malaria ha un’incubazione di qualche settimana potrei ancora esserci dentro, a pensarci. Se l’avessi scampata, dovrò poi scrivere quel testo di una ventina di minuti e quel che scriverò, non lo so, però penso che parlerò di quello che ha detto l’autista di Amref Senegal, che si chiama Mamadou, a Paola, di Amref Italia, che gli aveva chiesto se in Senegal c’era il petrolio e lui aveva risposto «No, il petrolio non c’è però ci sono le arachidi». E poi, una cosa che credo che dirò è che la cosa che mi ha colpito di più, del Senegal, è stato il fatto che molti ragazzi senegalesi, e anche molti senegalesi grandi, portavano delle magliette delle squadre di calcio europee. E mi ha talmente colpito, questa cosa, che il primo giorno, dopo un po’, mi ero messo a segnarmi che magliette erano e mi ero segnato: Barcellona, Chelsea, Real Madrid, Chelsea, Milan, Real Madrid, Juventus, Barcellona, Real Madrid, Milan, Napoli, Barcellona, Barcellona, Arsenal, Chelsea, Barcellona, Milan, Senegal, Milan, Juventus, Milan, Barcellona, Barcellona, Milan, Barcellona, Barcellona.
Il secondo giorno, invece, le magliette che mi ero segnato erano: Barcellona, Milan, Juventus, Inter, Barcellona, Barcellona, Barcellona, Barcellona, Inghilterra, Milan, Real Madrid, Olanda, Milan, Barcellona, Chelsea, Real Madrid, Barcellona, Costa d’Avorio, Paris St. Germain, Inter, Barcellona, Barcellona, Barcellona, Barcellona, Barcellona, Milan, Chelsea. Milan, Milan, Barcellona, Barcellona, Brasile, Barcellona, Milan, Milan, Barcellona, Chelsea, Liverpool, Barcellona, Barcellona, Inghilterra, Milan, Milan, Barcellona, Milan, Senegal, Milan, Milan, Milan, Brasile, Barcellona, Cameroun, Milan.
Il terzo giorno mi ero stancato avevo smesso di segnarmele però poi l’ultimo giorno, la cosa che avevo pensato prima di partire avevo pensato “Ecco, domani sono in Italia, smetto di vedere tutte queste magliette del Milan”. E questa credo sarà una cosa che dirò nella trasmissione radiofonica che faremo in novembre, sempre che dentro di me non si stia muovendo il virus mortale della malaria nel qual caso pazienza, va bene anche così.