Elasti |
Ai miei figli piace parecchio il gioco delle associazioni. Funziona
così: chi comincia dice una parola (nella loro personale interpretazione del
gioco quella prima parola è, quasi sempre, «cacca», ma questa è
un’altra storia), gli altri, a turno, proseguono trovando sostantivi legati
alla parola precedente, in una catena virtuosa o viziosa di cui si conosce il
principio e si ignora la fine.
L’altro giorno ho iniziato io: «acqua!».
La sequenza ci ha portati dall’acqua alla vasca da bagno, passando per lo
shampoo, le bolle di sapone, le nuvole, la pioggia, le pozzanghere per poi
tornare all’acqua, transitando per il signore che ogni due settimane ci porta
le casse di minerale che, per qualche insondabile motivo, è ai loro occhi un
supereroe, per finire dietro la maschera di Batman e tra pipistrelli.
Quando arrivai nel Nord dell’Uganda, dopo una notte in aereo
e una mattina in jeep, per prima cosa, mi portarono a visitare un pozzo. «Sono
matti. Perché siamo tutti qui a guardare un buco con dell’acqua dentro?»,
pensai senza capire. Poi, piano piano, fu tutto chiaro. Quell’acqua era
potabile, serviva centinaia di persone, risparmiava alle donne dei villaggi vicini
di camminare per chilometri con una tanica da 20 litri sulla testa, perdendo
tempo in marcia, tempo da destinare invece alla cura della famiglia, all’istruzione
e ad attività che generano reddito.
Un pozzo di acqua pulita, in Uganda, come in tutta l’Africa
Sub-Sahariana, è la prima via d’accesso alla prevenzione e alla salute, la
prima barriera contro povertà, fame, malattie, disparità di genere.
L’acqua, per un sesto della popolazione mondiale, non è vasca da bagno, shampoo, bolle di
sapone, nuvole e un signore supereroico che porta da solo 48 bottiglie. L’acqua,
per quel sesto, è la sostanza stessa della vita.
Il 22 marzo è la Giornata Internazionale dell’Acqua. È
venerdì, un buon giorno per pensarci e per fare il gioco
delle associazioni, partendo magari proprio dall’acqua, con cognizione di causa.
Elasti per AMREF Italia
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