Paola Soriga |
Da Addis Abeba c’è una strada che va verso est, una
striscia di asfalto che corre per 800 chilometri, fino al Gibuti e al
Somaliland, fino al mare. La percorrono camion carichi e lenti, uomini, donne e
bambini a piedi, con mucche, capre e dromedari, asini e carretti con i cavalli.
La percorre la mia amica Martha, che vive a Roma, quando riesce a risparmiare e
tornare dalla sua famiglia, a Jijiga, una città dell’est del Paese, verso il
confine con la Somalia. Me la immagino come quelle che vedo, la sua città,
quella in cui è cresciuta, immagino la casa dove è stata bambina e poi ragazza,
negli anni del comunismo e in quelli della sua caduta, le lotte interne e i
conflitti con la Somalia e l’Eritrea. Mi dice, al mio rientro, che a lei
piaceva, il comunismo, quando non c’era questa differenza tra i poveri e i
ricchi, che fa un po’ vergognare. Quando ho detto a Martha che sarei andata
nella regione dell’Afar mi ha detto che sono fortunata, che sarebbe certo stato
un viaggio prezioso e non turistico. È la prima volta che vado in Africa, e non
so cosa aspettarmi, provo a non aspettarmi niente. Ho, con me, le parole di
Martha e l’emozione di entrambe. Mi preparo a guardare ascoltare sentire, non
dimenticare.
Paola Soriga
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